[...] Pensai alle pieghe del suo collo,
alle unghie corte della mano che aveva fuori dalle lenzuola,
all'attaccatura dei capelli vicino all'orecchio [...],
alle linee robuste della sua schiena squadrata.
[...] Se anche fossi morta in quel giorno,
lui avrebbe continuato a vivere nell'appartamento
in cui avevamo abitato insieme.
in cui avevamo abitato insieme.
In quel soggiorno intriso in ogni angolo della mia presenza,
avrebbe preparato il caffè ogni mattina.
[...] Se anche io non ci fossi più stata,
se anche una sola parola
non fosse più stata proferita, [...]
non fosse più stata proferita, [...]
lui avrebbe continuato a preparare il suo ottimo caffè [...]."
(Banana Yoshimoto, La piccola ombra, Feltrinelli, pag. 38)
Personaggi principali
- Differenti personaggi prevalentemente di origine giapponese, alcuni senza nomi specifici
Ambientazione
- Argentina, Buenos Aires (e dintorni), ai nostri giorni
- Giappone, Tōkyō
L'incontro con la morte
non è mai un evento da gestire con facilità. L'illusione che
l'essere umano tenta spesso di costruire di fronte agli occhi nasce
dall'esigenza di mascherare l'inaccettabilità di un accadimento che,
nella sua complessità, scosta l'andirivieni del quotidiano con
un'invadenza talmente radicale da causare certamente una momentanea
rottura, per l'appunto, con l'usuale.
Come spesso accade per i
personaggi tracciati da Banana Yoshimoto, anche in questa serie di
racconti le persone si confrontano con l'idea della morte, e
prevalentemente con una sorta di abbandono di sé nel gorgo delle
particolari vicissitudini dell'esistenza nelle quali la defezione
causata dalla dipartita stringe un cappio serico attorno all'addome,
sfiorando la pelle con una carezza inquietante.
La terra di Argentina ed
il calore di Buenos Aires fanno da sfondo alle vicende narrate, con
quelle vie irrorate dal sole e dai passanti, da una energia che
attraversa il giorno e la notte con una potenza in grado di dilatarsi
e contrarsi, avvolgendo i protagonisti pur rimanendo costantemente
fissi nella riproduzione di un'identità che funge da icona, stabile
e significativa ma indipendente dagli stati d'animo particolari. Una
massa pressoché bi-dimensionale sulla quale le azioni ed i pensieri
si riflettono come punti focali marginalizzando l'arredo urbano e
relegandolo in una sorta di scrigno dove, eventualmente, reperire
solo piccoli ragguagli dei motivi di disagio provati.
La morte arriva e si
insinua fra gli obblighi della giornata, entrando nell'agenda degli
impegni senza essere prevista ed aggiungendo un invito al ricordo,
alla preghiera, alla rivalutazione di alcune sintesi fatte proprie
nei rapporti con persone lontane e vicine, con il rispettivo
mestiere. L'eleganza e la delicatezza della scrittura di Banana
Yoshimoto ci introduce nel mistero di una relazione con l'aspetto
funebre concepito nei termini di frangente naturale dell'esistenza,
di sfaccettatura della vita da accogliere però come fonte di
squilibrio momentaneo. I personaggi a due dimensioni,
simili alle antiche stampe cinesi e giapponesi, passano sulla
scena totalmente composti da pensiero e sentimento, ed i loro corpi
quasi si sfumano in questa transazione disperdendosi in un alone che
regge l'intero apparato emotivo; sui visi, un'espressione che in
genere non muta si distorce solo per generare relazioni simboliche
con l'evento scatenante, come del sangue colato dal naso durante
l'intensità di un'orazione in memoria di un defunto e l'idea del
corpo dilaniato di quel morto dopo un incidente automobilistico,
oppure il parallelismo tra l'architettura delle tombe di un cimitero
visitato e le dimensioni di un'istallazione artistica, a forma di
abitazione in miniatura, visitata anni prima con la madre uccisa da
un male incurabile, o ancora la morte di un figlio per aborto
spontaneo legata alla solidità in crisi di un matrimonio che
riponeva proprio in quella nuova nascita l'ipotesi di una rinnovata
stabilità.
La morte adombra, con la
discrezione di una nuvola sopra alle teste, la fatica del vivere e
l'azione che sprona ad andare avanti, alle volte anche senza
convinzione, per inerzia; viene accettata ma non capita fino in
fondo, osservata con il distacco di chi la considera parte della
normalità ma dalla quale, però, scostarsi espletando una serie di
esercizi materiali che illusoriamente la possano tenere a bada, come
gettarsi con furore su un sandwich per fornire al corpo gli
elementi nutrizionali affinché continui a funzionare, oppure
invischiarsi in storie extraconiugali alla ricerca di un appiglio di
felicità che non sempre si palesa. La crisi della dipartita
stabilisce rotte mentali che impongono, a questi nuclei di cuore e
mente che sono i personaggi, di scoprire collimazioni impensate, come
i versi di una triste canzone giapponese conosciuta dai componenti di
una coppia formata da un anziano signore e da una ragazza trentenne,
i quali trascorrono il tempo ad un ritmo di vita legato ad una
tranquillità che si accosta già formalmente al rallentamento
imposto dalla tomba, calpestando, per l'occasione del racconto, i
corpi di migliaia di foglie morte cadute da platani collocati sia
lungo i cigli delle strade, sia fra le righe di quella stessa poesia
intonata da entrambi i coniugi come una chiara meditazione funebre
del destino che li coinvolge già in quel momento; o come la forza
occulta ma rassicurante che spinge un orsacchiotto di peluche
a trasmutarsi vicino ai vetri di una finestra per osservare con occhi
ciechi la notte in balia della tempesta, proprio nel momento in cui
la persona che aveva acquistato e regalato tale oggetto spirava in un
letto d'ospedale, volendo forse trasmettere un messaggio d'affetto e
vicinanza alla bambina in possesso del giocattolo.
La morte si introduce,
inoltre, fra le situazioni di indifferenza. Un marito si stende nel
letto al fianco della compagna e, assorbito da stanchezza e
piattezza, rivolge attenzione e sguardo al vuoto mentre la donna
scruta i contorni di quella schiena che si staglia, granitica, come
un palazzo rovesciato, stringendosi in un pensiero destinato a
progredire nel buio fino a trasformarsi in un cancro dell'anima come
può essere l'idea di divenire un particolare neutro nell'interesse
dell'uomo, una declinazione posta da parte ed opinabile soprattutto
nella possibilità liminale della scomparsa.
La malattia della nullità
sociale è già morte per i personaggi che animano questi racconti.
Un'esclusione, una cacofonia costituita dal mutamento repentino del
ruolo ricoperto, sia che esso sia quello di segretaria di un uomo
d'affari, o di moglie, oppure di amante. La narrazione si regge su
un'affasciante forma di innocenza, quella di una scrittura dotata di
tutta quella delicatezza, discrezione e positiva puerilità
della nipponicità della Yoshimoto. Leggendo le pagine redatte
da questa grande scrittrice, la morte risulta ai nostri occhi al
contempo come un gioco da bambini e come una sferzata violenta e
dolorosa; dietro alle cose, osserviamo una maschera nera che ne
sfiora il fondo, ma il suono delle parole nasce nel candore totale di
una ninna nanna, di una melodia dolce ed armoniosa in grado di
spiazzare il lettore per un epilogo che gioca, anche in una sintesi
funesta, il compito di abbracciarci.
Leggere Banana Yoshimoto
è perdersi in una favola per l'infanzia coscenti però di ritrovarsi
a fare i conti con tutto ciò che di più adulto non si
potrebbe pensare; è l'arduo cammino che ci impegna a sostenere i
dolori più radicali dell'essere umano raccontati attraverso un
linguaggio ed una sensibilità di chi, come i bambini, vede e
sperimenta il mondo per la prima volta e con uno spirito candido.
italyhastodie
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