sabato 27 ottobre 2012

"La piccola ombra" (2002) di Banana Yoshimoto

"Vidi mio marito che si era infilato sotto le coperte al mio fianco 
e si accingeva a dormire.
[...] Pensai alle pieghe del suo collo, 
alle unghie corte della mano che aveva fuori dalle lenzuola,
all'attaccatura dei capelli vicino all'orecchio [...],
alle linee robuste della sua schiena squadrata.
[...] Se anche fossi morta in quel giorno, 
lui avrebbe continuato a vivere nell'appartamento 
in cui avevamo abitato insieme. 
In quel soggiorno intriso in ogni angolo della mia presenza, 
avrebbe preparato il caffè ogni mattina.
[...] Se anche io non ci fossi più stata,
se anche una sola parola 
non fosse più stata proferita, [...]
lui avrebbe continuato a preparare il suo ottimo caffè [...]."
(Banana Yoshimoto, La piccola ombra, Feltrinelli, pag. 38)  
Personaggi principali
  • Differenti personaggi prevalentemente di origine giapponese, alcuni senza nomi specifici
Ambientazione
  • Argentina, Buenos Aires (e dintorni), ai nostri giorni
  • Giappone, Tōkyō

L'incontro con la morte non è mai un evento da gestire con facilità. L'illusione che l'essere umano tenta spesso di costruire di fronte agli occhi nasce dall'esigenza di mascherare l'inaccettabilità di un accadimento che, nella sua complessità, scosta l'andirivieni del quotidiano con un'invadenza talmente radicale da causare certamente una momentanea rottura, per l'appunto, con l'usuale.
Come spesso accade per i personaggi tracciati da Banana Yoshimoto, anche in questa serie di racconti le persone si confrontano con l'idea della morte, e prevalentemente con una sorta di abbandono di sé nel gorgo delle particolari vicissitudini dell'esistenza nelle quali la defezione causata dalla dipartita stringe un cappio serico attorno all'addome, sfiorando la pelle con una carezza inquietante.

La terra di Argentina ed il calore di Buenos Aires fanno da sfondo alle vicende narrate, con quelle vie irrorate dal sole e dai passanti, da una energia che attraversa il giorno e la notte con una potenza in grado di dilatarsi e contrarsi, avvolgendo i protagonisti pur rimanendo costantemente fissi nella riproduzione di un'identità che funge da icona, stabile e significativa ma indipendente dagli stati d'animo particolari. Una massa pressoché bi-dimensionale sulla quale le azioni ed i pensieri si riflettono come punti focali marginalizzando l'arredo urbano e relegandolo in una sorta di scrigno dove, eventualmente, reperire solo piccoli ragguagli dei motivi di disagio provati.

La morte arriva e si insinua fra gli obblighi della giornata, entrando nell'agenda degli impegni senza essere prevista ed aggiungendo un invito al ricordo, alla preghiera, alla rivalutazione di alcune sintesi fatte proprie nei rapporti con persone lontane e vicine, con il rispettivo mestiere. L'eleganza e la delicatezza della scrittura di Banana Yoshimoto ci introduce nel mistero di una relazione con l'aspetto funebre concepito nei termini di frangente naturale dell'esistenza, di sfaccettatura della vita da accogliere però come fonte di squilibrio momentaneo. I personaggi a due dimensioni, simili alle antiche stampe cinesi e giapponesi, passano sulla scena totalmente composti da pensiero e sentimento, ed i loro corpi quasi si sfumano in questa transazione disperdendosi in un alone che regge l'intero apparato emotivo; sui visi, un'espressione che in genere non muta si distorce solo per generare relazioni simboliche con l'evento scatenante, come del sangue colato dal naso durante l'intensità di un'orazione in memoria di un defunto e l'idea del corpo dilaniato di quel morto dopo un incidente automobilistico, oppure il parallelismo tra l'architettura delle tombe di un cimitero visitato e le dimensioni di un'istallazione artistica, a forma di abitazione in miniatura, visitata anni prima con la madre uccisa da un male incurabile, o ancora la morte di un figlio per aborto spontaneo legata alla solidità in crisi di un matrimonio che riponeva proprio in quella nuova nascita l'ipotesi di una rinnovata stabilità.
La morte adombra, con la discrezione di una nuvola sopra alle teste, la fatica del vivere e l'azione che sprona ad andare avanti, alle volte anche senza convinzione, per inerzia; viene accettata ma non capita fino in fondo, osservata con il distacco di chi la considera parte della normalità ma dalla quale, però, scostarsi espletando una serie di esercizi materiali che illusoriamente la possano tenere a bada, come gettarsi con furore su un sandwich per fornire al corpo gli elementi nutrizionali affinché continui a funzionare, oppure invischiarsi in storie extraconiugali alla ricerca di un appiglio di felicità che non sempre si palesa. La crisi della dipartita stabilisce rotte mentali che impongono, a questi nuclei di cuore e mente che sono i personaggi, di scoprire collimazioni impensate, come i versi di una triste canzone giapponese conosciuta dai componenti di una coppia formata da un anziano signore e da una ragazza trentenne, i quali trascorrono il tempo ad un ritmo di vita legato ad una tranquillità che si accosta già formalmente al rallentamento imposto dalla tomba, calpestando, per l'occasione del racconto, i corpi di migliaia di foglie morte cadute da platani collocati sia lungo i cigli delle strade, sia fra le righe di quella stessa poesia intonata da entrambi i coniugi come una chiara meditazione funebre del destino che li coinvolge già in quel momento; o come la forza occulta ma rassicurante che spinge un orsacchiotto di peluche a trasmutarsi vicino ai vetri di una finestra per osservare con occhi ciechi la notte in balia della tempesta, proprio nel momento in cui la persona che aveva acquistato e regalato tale oggetto spirava in un letto d'ospedale, volendo forse trasmettere un messaggio d'affetto e vicinanza alla bambina in possesso del giocattolo.

La morte si introduce, inoltre, fra le situazioni di indifferenza. Un marito si stende nel letto al fianco della compagna e, assorbito da stanchezza e piattezza, rivolge attenzione e sguardo al vuoto mentre la donna scruta i contorni di quella schiena che si staglia, granitica, come un palazzo rovesciato, stringendosi in un pensiero destinato a progredire nel buio fino a trasformarsi in un cancro dell'anima come può essere l'idea di divenire un particolare neutro nell'interesse dell'uomo, una declinazione posta da parte ed opinabile soprattutto nella possibilità liminale della scomparsa.

La malattia della nullità sociale è già morte per i personaggi che animano questi racconti. Un'esclusione, una cacofonia costituita dal mutamento repentino del ruolo ricoperto, sia che esso sia quello di segretaria di un uomo d'affari, o di moglie, oppure di amante. La narrazione si regge su un'affasciante forma di innocenza, quella di una scrittura dotata di tutta quella delicatezza, discrezione e positiva puerilità della nipponicità della Yoshimoto. Leggendo le pagine redatte da questa grande scrittrice, la morte risulta ai nostri occhi al contempo come un gioco da bambini e come una sferzata violenta e dolorosa; dietro alle cose, osserviamo una maschera nera che ne sfiora il fondo, ma il suono delle parole nasce nel candore totale di una ninna nanna, di una melodia dolce ed armoniosa in grado di spiazzare il lettore per un epilogo che gioca, anche in una sintesi funesta, il compito di abbracciarci.

Leggere Banana Yoshimoto è perdersi in una favola per l'infanzia coscenti però di ritrovarsi a fare i conti con tutto ciò che di più adulto non si potrebbe pensare; è l'arduo cammino che ci impegna a sostenere i dolori più radicali dell'essere umano raccontati attraverso un linguaggio ed una sensibilità di chi, come i bambini, vede e sperimenta il mondo per la prima volta e con uno spirito candido. 

italyhastodie
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Collegamenti e video
                                                                                            Wikipedia su Banana Yoshimoto








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