venerdì 30 novembre 2012

"La scelta" (2005) di Luisa Mattia


“- Allora, Pedro … -
- Non mi chiamare più Pedro. 
È nome che non va per uno come me. -
- E chi sei diventato? -
- Un uomo rispettabile, uno di don Salvo. -
- Davvero, Pedro? -
Gli arrivò uno schiaffo.
- Ti dissi appena ora 
che mi devi chiamare col nome mio, 
Pietro, - borbottò. 
- Che forse non ti piace? -
(Luisa Mattia, La scelta, Sinnos Edizioni, pag.40)






Personaggi principali
  • Antonio: protagonista, ragazzino che si sta avviando sulla strada della micro-criminalità nell'orbita mafiosa
  • Pietro (Pedro): fratello maggiore del protagonista, giovane già avviato nella pratica della delinquenza
  • Letizia: sorella di Antonio e Pietro
  • Madre dei ragazzi: casalinga vessata dalla violenza del primogenito e dalla situazione di omertà ed ignoranza vigente in ambito familiare e sociale
  • Padre dei ragazzi: disoccupato con problemi di alcolismo
  • Michele: marionettista girovago
  • Angelica: figlia di Michele. Aiuta il padre nell'attività di famiglia
  • Simone: amico di Antonio. Animatore nelle feste per bambini e piccolo punto di riferimento civile
  • Don Salvo: capo mafioso locale
Ambientazione
  • Italia, Sicilia, in una cittadina non specificata

Leggendo le pagine scritte da Luisa Mattia, si fa viva l'impressione della presenza di fili invisibili che, dall'alto, si agganciano ai vari personaggi, penetrandone la carne e guidandone le azioni sul piano sociale; in questa terra fondata sulla convenzione, sull'uso della violenza come coercizione e sull'ignoranza come base culturale, la lotta intestina fra questo stato di costrizione e la spinta a liberarsi dai lacci emotivi, che ancorano ad un ruolo preciso ed alienante, deflagra nell'intimità fino a colmare tutto lo spazio della riflessione personale. All'esterno, però, c'è paura e silenzio.
La scelta è, esattamente, il punto di rottura con una visione univoca di una tradizione che genera bestialità e barbarie. È la dolorosa e coraggiosa presa di coscienza che i cavi immersi nel proprio corpo devono, in qualche maniera, essere spezzati.
Ma veniamo direttamente al punto.

Antonio cresce all'interno di un contesto dove il diventare più adulto è un obbligo fatto di lacrime e subordinazione. Se è vero che esempi ed esperienze sono passo fondamentale per affinare il carattere, la vita che il giovane sperimenta offre solo spunti di prevaricazione e rabbia animalesca. Nella sua famiglia, l'ombra di un padre pressochè assente per inadeguatezza nel ruolo genitoriale viene schiacciata sotto il peso di un'incontrastata figura fraterna, la quale attraversa l'ambito domestico nel pieno di un virgulto adolescenziale/sessuale e nel totale dominio fondato su minaccia e percossa; Pietro sostituisce il genitore alcolizzato e ridotto ad un pallido simulacro d'uomo, superando le stesse barriere di rispetto verso le sfere materna e paterna e scagliandosi verso di esse utilizzando, da un lato, il meccanismo della rimozione della funzione del padre, mentre dall'altro, occupando il posto vacante nel binomio genitoriale e relazionandosi, con la madre ed i fratelli, secondo una sorta di investitura coniugale caratterizzata da quella prepotenza archetipa ed epica venuta meno dalla dipartita del ruolo paterno. Ciò, a mio parere, diventa esplicito fin dalla prima pagina del romanzo dove, seduto su una sedia nella propria camera e distante dalle incombenze di un normale andamento domestico, beve caffé come lo bevono gli uomini (pag.7) e fuma, incurante della fatica sopportata dalla madre nel tentativo di mantenere ordine nell'appartamento. La sua indifferenza, tramutandosi spesso in irritazione a causa degli innesti di individualità che provano ad introdursi fra le pieghe di quella violenta onnipresenza, come il pianto del fratellino Enzo oppure lo spazio per le telenovelas ritagliatosi dalla sorella Letizia, fa di lui il lupo feroce che domina il branco, ed inserisce nel suo ruolo di collante sociale un elemento maligno ed inquietante, soprattutto perché avallato da una non scritta ragione sociale che indora una becera forza maschilista come metro per il retto funzionamento del nucleo.
Antonio guarda al fratello con l'occhio di chi si riflette in un modello, cadendo in un'operazione frequente nell'infanzia e nella pre-adoloscenza ma scegliendo un fine che, terribilmente, risiede al di fuori di sé. Pietro è la forza, è la potenza che ordina il mondo. La sua autorità è incontrastata: nell'accesso al denaro, reperito attraverso pizzo e spaccio visti nell'ottica di azioni per le quali è necessario avere coraggio e padronanza; nell'accesso alla femmina, presa con brutalità, violata con l'impeto di una bestia in cerca di accoppiamento anche se si tratta solamente di baci, ma baci che trasmettono innegabilmente tutto l'ardore della pratica naturale dell'imposizione; nel possesso dei beni, ostesi come oggetti sacrali che identificano e separano nettamente i gradi gerarchici di questo comando.

Questo è il mondo di Antonio; un angolo di universo nel quale non si sopravvive scegliendo di escludersi dalle regole ferree e meticolosamente fatte rispettare da chi misura la vita stessa delle persone sulla bilancia di un rispetto fondato sulla paura. Un ribaltamento della grazia che una famiglia autentica dovrebbe sperimentare nell'accordo creativo e appassionato fra i suoi componenti. Ed in una situazione come questa, la presenza di eventuali parametri che permettano al ragazzino di confrontarsi con altre sfaccettature dell'esistenza si minimizzano e si incamerano nell'accezione della possibilità da scartare in quanto non corrispondente all'espressione dominante; l'amico di Antonio, Simone, incarana per l'appunto una di queste opportunità di trasgressione, con la sua attenzione verso i più piccoli, la voglia di intrattenere adulti e bambini con animazione e letture; attraverso, insomma, proprio quei mezzi posti a lato del contesto usuale. E lo svago sano e gratuito assume i contorni della salvezza, forse un po' stereotipati, certo, ma pur sempre novità e canale alternativo di evoluzione sociale laddove il rinnovamento passa attraverso i confini di una dimensione criminale radicata, addirittura, in un patrimonio di regolamenti orali. Simone fa ridere Pietro, perché se la fa con i bambini e si veste da clown; e, per questo, non è un uomo.

Gli elementi che scatenano il trauma della separazione dal mondo che, seppure degradante, ha accolto e fatto crescere Antonio, sono rappresentati da due eventi di grande pregnanza: l'assassinio su commissione, per questioni di droga, dell'amico Nino da parte di Pietro, e la distruzione del teatrino dei pupi gestito dal marionettista Michele, il quale, restio alle imposizioni mafiose, si era rifiutato di andarsene dopo aver ricevuto l'intimidazione dei ragazzi della banda. Entrambi rientrano nell'attuazione della logica perversa del controllo, ma agiscono su due fronti differenti, implementando una sorta di maturità nei due fratelli che li porterà verso il punto cruciale, appunto, della scelta. L'apertura verso la libertà si presenta come un percorso durante il quale il fumo mefitico degli inferi offusca fino alla fine la vista, ed il passaggio obbliga ad una strada lungo la quale l'animo si contorce come una vecchia pianta. Ed è proprio in questo momento che i fili incastrati sui corpi si rendono visibili, schiarendo finalmente la pagina oscura sulla quale è descritta nei minimi dettagli la baracca del puparo; anzi, dei pupari, perché sia Michele che il capomafioso locale, don Salvo, tendono dall'alto i lacci, operando però in due direzioni opposte e perseguendo fini antitetici. Entrambi usufruiscono della maestà di un'antica tradizione siciliana per conferire allo spirito ed alle menti gli elementi per una forma di status; nonostante l'angheria subita, Michele, affiancato dalla figlia Angelica, si lascia avvicinare da Antonio accettandolo, iniziando a ricoprire la parte di un maestro di cui il ragazzo era stato privato, ed attraverso la narrazione della vicenda di Ruggero e Bradamante pone il giovane sulla via per carpire i meccanismi della volontà, del coraggio, della determinazione. Lui non può tacere, perché ha visto il delitto di Nino e lo denuncia, perché l'arte più vera della Sicilia si oppone alla tradizione della morte; tira i fili, Michele, benché le sue marionette giacciano in un angolo, spezzate, ma strattona cavi che penetrano nel ragazzino per svegliare il suo cuore e per far uscire da lui la carne che possa ricoprire il legno freddo. Un meccanismo di civiltà porta l'uomo ad avere fede pur nella sofferenza, poiché non solo conosce la radicale precarietà di quella gioventù siciliana, ma soprattutto perché ha la convinzione che le tradizioni della sua terra non possono in alcun modo sprigionare morte e ritrazione civile.
Diversamente, don Salvo articola le dita per estirpare gli elementi di contrarietà ad un pensiero unico. Sotto alle sue mani, gli uomini si comportano come un'estensione di chi li comanda, de-soggettivando la voce, l'aspetto, i pensieri. Lo stesso Pietro rinuncia al soprannome di cui andava tanto fiero, Pedro, siccome il boss, durante il colloquio nel quale lo incaricherà di uccidere Nino, afferma una sua avversione proprio verso nomignoli ed arbitrarie denominazioni. Un mondo di convinzioni spazzato via dall'aura di potere di un individuo il quale, dal buio, gioca a mantenere in uno stato di sospensione il senso critico delle persone, sfruttanto mezzi illusori come la fedeltà ad una famiglia, l'onore, il rispetto per un'autorità la cui ragione, chiaramente, ha l'aspetto mellifluo del diavolo/omino che circuisce i ragazzi nella favola di Pinocchio.
Se Michele, quindi, passa per il dialogo duro, sincero e senza pregiudizi indirizzandosi verso la formazione di individui liberi, don Salvo parte egualmente da un monologo avvolgente ma inculcando alcuni parametri che impediscono lo sfogo di frangenti della personalità che non siano in linea con l'interesse particolare di un universo scavato fra le sue mani. Michele, in fondo, è un Mangiafuoco, che si commuove quasi subito e sopravvive al rogo del suo mestiere; ma è esattamente fra quella distruzione che le sue marionette lasciano il posto ad un ragazzo nuovo. E, in un certo senso, si potrebbe dire che Antonio/Pinocchio viene salvato proprio dal sacrificio dei suoi fratelli di legno. Per Pietro, l'assorbimento della lezione giunge per altri canali, ed anche lui sceglie una soluzione che però mette a nudo la forte assonanza con il male di cui si è impregnato.

Una storia interessante, con un forte impatto sul piano emotivo oltreché civile. Unico punto un po' debole, è forse l'uso di un registro linguistico siciliano un po' appiattito sullo stereotipo palermitano.

italyhastodie
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