La
piccola coreografia di Sharon Fridman è un gioiellino di metamorfosi
del corpo. ¿Hasta
donde? … fino a quando, ci si può domandare, le masse dei due
danzatori saranno capaci di restare separate e indipendenti? Fino a
quale istante mani e piedi non troveranno una via per costituire un
percorso comune che coinvolgerà equilibri e squilibri?
Due
uomini, dicevamo, che in uno spazio ristretto generano in un moto
apparentemente perpetuo e frenetico l'energia per trascinarsi
reciprocamente, incalzando pubblico e scena. Una corsa alla crescita,
alla maturazione, partendo da una manciata di intenzioni che
costituisce l'incipit dell'opera, dove un inizio stentato e
forse un po' spigoloso stabilisce una separazione iniziale che, a
poco a poco, si fa sempre più labile, avvicinando le nature degli
interpreti proprio attraverso la perdita di senso del monismo
originale.
Un
individuo si fa, in principio, portatore di un'organizzazione del
pensiero e della forma, mentre l'altro si sobbarca l'onere del
divenire, innocuo ed infantile homunculus costituto
perlopiù da impulsi simili a quelli di un animale appena venuto al
mondo. In questo mare vacuo dove solo il legno del palcoscenico si
articola regolarmente sotto le luci di un magma cromatico e di una
ripercussione sonora impregnata di versi di bestie e rumori
graffianti ed abissali, il primo interprete porta in scena
fisicamente il corpo dell'altro, scaricandolo e scontrandosi con la
terribile magia dell'esistenza primordiale, quella di un bambino
ignaro del mondo e delle sue regole, osservando a distanza le mosse
di una volontà che necessita di una guida, di un sostegno
nell'affrontare le tenebre con occhio impaurito e con movimento
inadeguato. Pesanti cadute, allunghi, piroette, tutto condito da una
drammatica inconsistenza, che blandisce qui e là un appiglio, e da
un'energia disperata che proietta in ogni angolo una commovente
potenza del desiderio di vivere.
Mentre i tentativi di questa
materia informe si attivano per contrastare la catalessi della
propria ragione, ecco che, dopo un prologo d'ombra, l'intervento
dell'altro irrompe discretamente, afferrando un braccio, introducendo
un piede in uno spazio lasciato libero, ponendosi da bilancia e
comportandosi, insomma, da puntello su cui i movimenti generali
ispessiscono sicurezza ed il vigore assume una logica più
funzionale.
Il
sudore di entrambi comincia a fondersi, escludendo progressivamente
l'attrito che prima aveva generato una sorta di inconciliazione
rappresentata da gesti rozzi e smorzati. Se la pelle si era resa
quasi squamosa impedendo una completa evoluzione dell'atto, ecco che
la liquidità della sfera fisico-emotiva si spande sulle superfici
biologiche e sui vestiti indirizzando la coppia in uno stato di
scambio ininterrotto nel quale la linea di demarcazione si scioglie
in una perfetta coibentazione di umori e calore. I danzatori
inscenano una costante eseguita con una precisione tale da ingabbiare
lo sguardo dello spettatore, intrappolando nel vortice di quella
materializzazione l'attenzione del pubblico ed unendolo al parto di
questa creatura data dalla libera ma, finalmente, regolata accezione
dei due interpreti calati in questo ambito unitario.
Ora, gambe, braccia, tronco e
testa si snodano ad arte coprendo gli spiragli vuoti di questo essere
con sempre nuova massa, impedendo al buio di penetrare e
concentrando la luce in un punto, simboleggiando un crogiuolo di
genitorialità che si fa utero a protezione della vita. I movimenti
sono sangue che fluisce verso questo nucleo, sono nutrienti che
entrano in circolo, forza che si spande allontanando nulla e
incoscienza ed illuminando sempre di più questo universo ritagliato
nello spazio scenico. Le dita affondano fra i capelli, perdendovisi e
divenendo simili a loro, e così le schiene si inarcano levigando
imperfezioni e ruvidità, le cosce sostengono il gravame dell'altro
sopportando al contempo il proprio peso cosciente e bilanciando le
ragioni di entrambi in un fine parallelo.
Ed alla fine, ecco che la
creatura nasce. In un lampo che separa e getta i corpi al suolo,
l'essenza si sprigiona esplodendo verso l'esterno, superando,
lacerando i limiti del bocciolo in cui si è organizzata, stremando i
propri genitori ma irradiando di una solarità unica l'intero cosmo.
La potenza resa tangibile dall'incontro di due individui che hanno
impegnato sé stessi in un moto di valorizzazione e di sacrificio, di
accondiscendenza e di eguaglianza, scardinando le ipotesi di
prevaricazione e sublimando la limitata natura di ognuno in un
connubio che oltrepassa barriere sessuali, raziali e politiche.
Ottima la scelta scenografica
dello spazio vuoto, colmato da giochi di illuminazione e uditivi che
accompagnano con intensità crescente verso l'apogeo della
performance; particolarmente affascinante l'ululato ed il latrato dei
cani nella notte.
Appropriato l'uso degli abiti, di
grande semplicità ed uniformità, simbolo di uguaglianza oltre che
di conveniente praticità al fine dell'esecuzione di una coreografia
tanto complessa e movimentata.
Intelligente
e non scontata la presenza di performers
dai tratti somatici decisamente distanti, chiara trasposizione
dell'universalità a cui è rivolto il messaggio dell'opera. Il fatto
che i danzatori siano di sesso maschile non esclude a priori il
risvolto femminile dell'umanità, e soprattutto non è
necessariamente indice di un riferimento calato in ambito
strettamente omossessuale.
Unico
punto debole: un'introduzione forse un po' pesante e legata ad una
sorta di infantilismo ostentato. È
comprensibile il fatto di voler trasmettere attraverso gesti
imperfetti e puerili la difficoltà dell'affinamento di sé, ma alle
volte l'impressione non poteva nascondere un senso di casualità e di
estetica tradita.
Comunque,
certamente uno spettacolo da cui lasciarsi coinvolgere. Peccato non
aver potuto realizzare fotografie durante l'esecuzione.
italyhastodie
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