mercoledì 7 novembre 2012

"¿Hasta donde...?". Coreografia: Sharon Fridman


La piccola coreografia di Sharon Fridman è un gioiellino di metamorfosi del corpo. ¿Hasta donde? … fino a quando, ci si può domandare, le masse dei due danzatori saranno capaci di restare separate e indipendenti? Fino a quale istante mani e piedi non troveranno una via per costituire un percorso comune che coinvolgerà equilibri e squilibri?

Due uomini, dicevamo, che in uno spazio ristretto generano in un moto apparentemente perpetuo e frenetico l'energia per trascinarsi reciprocamente, incalzando pubblico e scena. Una corsa alla crescita, alla maturazione, partendo da una manciata di intenzioni che costituisce l'incipit dell'opera, dove un inizio stentato e forse un po' spigoloso stabilisce una separazione iniziale che, a poco a poco, si fa sempre più labile, avvicinando le nature degli interpreti proprio attraverso la perdita di senso del monismo originale.

Un individuo si fa, in principio, portatore di un'organizzazione del pensiero e della forma, mentre l'altro si sobbarca l'onere del divenire, innocuo ed infantile homunculus costituto perlopiù da impulsi simili a quelli di un animale appena venuto al mondo. In questo mare vacuo dove solo il legno del palcoscenico si articola regolarmente sotto le luci di un magma cromatico e di una ripercussione sonora impregnata di versi di bestie e rumori graffianti ed abissali, il primo interprete porta in scena fisicamente il corpo dell'altro, scaricandolo e scontrandosi con la terribile magia dell'esistenza primordiale, quella di un bambino ignaro del mondo e delle sue regole, osservando a distanza le mosse di una volontà che necessita di una guida, di un sostegno nell'affrontare le tenebre con occhio impaurito e con movimento inadeguato. Pesanti cadute, allunghi, piroette, tutto condito da una drammatica inconsistenza, che blandisce qui e là un appiglio, e da un'energia disperata che proietta in ogni angolo una commovente potenza del desiderio di vivere.

Mentre i tentativi di questa materia informe si attivano per contrastare la catalessi della propria ragione, ecco che, dopo un prologo d'ombra, l'intervento dell'altro irrompe discretamente, afferrando un braccio, introducendo un piede in uno spazio lasciato libero, ponendosi da bilancia e comportandosi, insomma, da puntello su cui i movimenti generali ispessiscono sicurezza ed il vigore assume una logica più funzionale.
Il sudore di entrambi comincia a fondersi, escludendo progressivamente l'attrito che prima aveva generato una sorta di inconciliazione rappresentata da gesti rozzi e smorzati. Se la pelle si era resa quasi squamosa impedendo una completa evoluzione dell'atto, ecco che la liquidità della sfera fisico-emotiva si spande sulle superfici biologiche e sui vestiti indirizzando la coppia in uno stato di scambio ininterrotto nel quale la linea di demarcazione si scioglie in una perfetta coibentazione di umori e calore. I danzatori inscenano una costante eseguita con una precisione tale da ingabbiare lo sguardo dello spettatore, intrappolando nel vortice di quella materializzazione l'attenzione del pubblico ed unendolo al parto di questa creatura data dalla libera ma, finalmente, regolata accezione dei due interpreti calati in questo ambito unitario.
Ora, gambe, braccia, tronco e testa si snodano ad arte coprendo gli spiragli vuoti di questo essere con sempre nuova massa, impedendo al buio di penetrare e concentrando la luce in un punto, simboleggiando un crogiuolo di genitorialità che si fa utero a protezione della vita. I movimenti sono sangue che fluisce verso questo nucleo, sono nutrienti che entrano in circolo, forza che si spande allontanando nulla e incoscienza ed illuminando sempre di più questo universo ritagliato nello spazio scenico. Le dita affondano fra i capelli, perdendovisi e divenendo simili a loro, e così le schiene si inarcano levigando imperfezioni e ruvidità, le cosce sostengono il gravame dell'altro sopportando al contempo il proprio peso cosciente e bilanciando le ragioni di entrambi in un fine parallelo.

Ed alla fine, ecco che la creatura nasce. In un lampo che separa e getta i corpi al suolo, l'essenza si sprigiona esplodendo verso l'esterno, superando, lacerando i limiti del bocciolo in cui si è organizzata, stremando i propri genitori ma irradiando di una solarità unica l'intero cosmo. La potenza resa tangibile dall'incontro di due individui che hanno impegnato sé stessi in un moto di valorizzazione e di sacrificio, di accondiscendenza e di eguaglianza, scardinando le ipotesi di prevaricazione e sublimando la limitata natura di ognuno in un connubio che oltrepassa barriere sessuali, raziali e politiche.

Ottima la scelta scenografica dello spazio vuoto, colmato da giochi di illuminazione e uditivi che accompagnano con intensità crescente verso l'apogeo della performance; particolarmente affascinante l'ululato ed il latrato dei cani nella notte.
Appropriato l'uso degli abiti, di grande semplicità ed uniformità, simbolo di uguaglianza oltre che di conveniente praticità al fine dell'esecuzione di una coreografia tanto complessa e movimentata.
Intelligente e non scontata la presenza di performers dai tratti somatici decisamente distanti, chiara trasposizione dell'universalità a cui è rivolto il messaggio dell'opera. Il fatto che i danzatori siano di sesso maschile non esclude a priori il risvolto femminile dell'umanità, e soprattutto non è necessariamente indice di un riferimento calato in ambito strettamente omossessuale.
Unico punto debole: un'introduzione forse un po' pesante e legata ad una sorta di infantilismo ostentato. È comprensibile il fatto di voler trasmettere attraverso gesti imperfetti e puerili la difficoltà dell'affinamento di sé, ma alle volte l'impressione non poteva nascondere un senso di casualità e di estetica tradita.
Comunque, certamente uno spettacolo da cui lasciarsi coinvolgere. Peccato non aver potuto realizzare fotografie durante l'esecuzione.

italyhastodie
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